I principali hot spot per la diffusione di tale contaminante sono rappresentati dagli impianti di trattamento delle acque reflue, ma i processi convenzionali non sono dotati di un’efficienza tale per cui se ne riesca ad ottenere una sua rimozione soddisfacente.
Gli indicatori tradizionali, valutati nei trattamenti ordinari, non sono in grado di determinare le effettive fonti di contaminazione, sottovalutando, così, anche i rischi per la salute: infatti tali contaminanti sono spesso ritrovati negli effluenti presenti negli UWTP \cite{Naddeo_2012}, nonchè in fiumi, laghi ed in acque superficiali e sotterranee. Intervenire in tal senso, pertanto, garantisce la disintossicazione delle diverse matrici ambientali.
Lo sforzo della ricerca, consapevole che l'attuale normativa sottovaluti i potenziali danni irreversibili di tali impatti \cite{Rodrigues_2017}, mira ad ingegnerizzare i processi al fine di preservare gli ecosistemi: puntare su trattamenti avanzati, quali la sonolisi e l'ozonizzazione, nonchè il loro impiego combinato \cite{Naddeo_2020}, è la risposta che la ricerca si è data per far fronte a questo problema.
I suddetti trattamenti si sono rivelati strumenti consoni alla degradazione di questi farmaci: dal confronto dei risultati sono stati valutati indicatori quali la dose di O3, la potenza specifica degli US, il pH e la temperatura, da cui è emerso un buon grado di rimozione di DCF.
La tecnologia ad ultrasuoni è stata sviluppata di recente e porta alla formazione di radicali idrossilici altamente reattivi, particolarmente efficaci. Inoltre, è emersa un’alta reattività del DCF anche verso l’ozonizzazione, migliorata fortemente anche dall’aggiunta di perossido di idrogeno.