I rifiuti erano composti da idrocarburi aromatici paraffinici (IPA), benzo(a)pyrene e BTEX \cite{_ebkowska_2011}, ed erano individuati come contaminanti desatanti maggiore preoccupazione. Circa 3.300 m3 di terreno contaminato furono sottoposti a trattamento mediante il quale veniva impiegata una combinazione di areazione attiva e passiva, applicata attraverso un sistema di piezometri in tutta la biopila \cite{P_aza_2003}, congiuntamente all’applicazione di nutrienti e tensioattivi per incrementare la biodegradazione dei contaminanti più considerevoli.
Pertanto Il terreno contaminato veniva miscelato con fertilizzanti minerali e trucioli di legno, coperto con uno strato di dolomite e, successivamente, con terreno non contaminato unitamente all’installazione di un sistema di drenaggio e raccolta del percolato.
Nell’arco dei 20 mesi della durata del progetto, più dell'81% (120 tonnellate) di idrocarburi di petrolio è risultato biodegradato.
Conclusioni
La tecnica del biopile consente di raccogliere tutto il terreno contaminato, fornire condizioni ottimali per l'attività microbica attraverso il ricircolo e l'aerazione del percolato, richiedendo consumi relativamente contenuti di energia e consente il riutilizzo del terreno una volta completata la bonifica. Pertanto le caratteristiche fisico-chimiche del materiale, il pH, il contenuto di umidità e il contenuto di petrolio appaiono superiori al materiale lagunare originariamente selezionato, rendendolo ideale per un'operazione di biopiling. Alla luce di quanto detto finora, il biopile può essere considerata l'unica tecnologia che degrada completamente i contaminanti (senza creare un flusso di rifiuti secondario), consente il riutilizzo del materiale (precedentemente) contaminato senza restrizioni e appare altamente efficace, considerata tanto l’ essenzialità delle operazioni e la scarsa manutenzione richiesta quanto un design assai semplicistico.